Il grissino, da Torino al mondo
Da Redazione TorinoFree.it
Settembre 06, 2015
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, nella Torino del Seicento, si fece strada sulle tavole dei ricchi un bastone di pane lungo, sottile e ben cotto, da mangiare con facilità e ben digeribile.
Quel bastone era il grissino, uno dei simboli del capoluogo torinese in tutto il mondo, che con il passar dei secoli divenne uno degli alimenti preferiti da grandi e piccini.
La storia del grissino parte da molto lontano, per la precisione dalla corte di Vittorio Amedeo II di Savoia, che fin da bambino aveva gravi problemi di digestione, legati al cibo dei cuochi reali, poco cotto e che spesso lasciava un retrogusto amaro in bocca.
Dopo molti tentativi falliti e molte riflessioni, nel 1668 il re chiese ai cuochi di togliere il pane dalla tavola reale, dato che era secco e non molto adatto alla digestione, e in poco tempo gli venne presentato dal cuoco Antonio Brunero un fragrante cestino con una serie di lunghi e sottili bastoncini di pane, non ripieni all’interno, cotti al punto giusto e facilmente digeribili.
Era nato il grissino e da allora il re non si separò mai da un cesto pieno di quei deliziosi bastoncini collocato sulla sella del suo cavallo, al punto che narra la leggenda che il fantasma di Vittorio Amedeo II si aggiri ancora oggi per Palazzo Madama e nella reggia di Venaria con un grissino ardente in mano.
Nel Settecento fu il Re Sole di Francia il primo sovrano europeo a interessarsi ai grissini, al punto che i cuochi della sua reggia cercarono più volte di imitarli, senza risultato, mentre la figlia di Carlo Emanuele III, Madama Felicita, era detta Principessa del Grissino per essere stata ritratta in un dipinto con un grissino in mano.
Con l’Ottocento fu Napoleone Bonaparte a richiedere di continuo grissini per la sua tavola alla corte di Francia, mentre sotto la Restaurazione Carlo Felice accompagnava sempre il suo pasto con grissini, anche al Regio di Torino.
La vera consacrazione del grissino però arrivò solo nel 1956, quando nel documentario Viaggio lungo il Po alla ricerca dei cibi genuini, lo scrittore e regista Mario Soldati consacrò il grissino dicendo che “pur essendo rifatto dappertutto in Italia e nel mondo, non può essere esportato perché, anche soltanto a cinquanta chilometri da Torino, non è più lui”.
Che dire? Lunga vita al grissino e ai suoi prelibati intenditori!
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