L’invasione del granchio blu che sta impattando le acque italiane rappresenta un ulteriore esempio di come anche le azioni umane più semplici possano arrecare gravi danni all’ambiente e agli ecosistemi. In questo caso specifico, non sono state necessarie emissioni di gas serra per provocare una crisi, bensì è stata sufficiente la negligenza nel rilascio di una specie non nativa in un ambiente marino diverso. Questo errore è stato commesso ripetutamente nella storia dell’umanità
Cosa sappiamo del Granchio Blu
Il granchio blu, noto anche come granchio reale blu, granchio azzurro o con il nome scientifico Callinectes sapidus, è un crostaceo decapode originario delle coste atlantiche dell’intero continente americano, che si estendono dalla Nuova Scozia, a nord, fino all’Argentina, a sud. Questo animale prospera in un intervallo di temperature che varia dai 3 ai 35 gradi Celsius e si adatta bene sia all’acqua dolce dei fiumi che all’acqua salmastra delle paludi. Inoltre, il granchio blu si riproduce rapidamente e possiede un regime alimentare estremamente ampio.
È un essere onnivoro che può raggiungere il peso di un chilo, una lunghezza di 15 centimetri e una larghezza di 25 centimetri. Si nutre di una varietà di prede, tra cui vongole, cozze, altri crostacei, uova e pesci, con particolare predilezione per gli avanotti, ovvero i pesci neonati, compromettendo così direttamente la sopravvivenza futura delle specie ittiche. La sua sopravvivenza è supportata dalla capacità delle femmine di deporre fino a 2 milioni di uova all’anno.
Nel suo ambiente originario, il granchio blu rappresenta una fonte di cibo fondamentale per i suoi predatori naturali, che includono anguille, razze, squali e pesci persici nei fiumi, oltre agli esseri umani. Tuttavia, quando introdotto in nuovi ecosistemi, soprattutto in contesti più ristretti e delicati rispetto all’ampio Oceano Atlantico, la mancanza di predatori naturali e la sua alta capacità riproduttiva lo trasformano in una specie aliena invasiva in grado di decimare le specie autoctone.
La situazione in Italia
In questo modo, non soltanto si crea un disequilibrio nell’equilibrio dell’ambiente in cui è stato introdotto, come ad esempio nel Mediterraneo, soprattutto nell’area dell’Adriatico, ma si provocano anche danni economici significativi al settore della pesca. Secondo le stime di Fedagripesca-Confcooperative, i danni economici attualmente causati dal granchio blu in Italia ammontano già a circa 100 milioni di euro, con particolare riferimento ai danni inflitti alle riserve di vongole.
Analogamente a numerosi altri episodi storici, il granchio blu è giunto in Italia attraverso il trasporto marittimo internazionale, venendo involontariamente trasportato a bordo delle grandi navi cargo quando vengono caricati i serbatoi di acqua di sentina per bilanciare il peso della nave. Il problema risiede nel fatto che questa acqua non viene filtrata prima di essere rilasciata nel Mediterraneo al termine del viaggio, consentendo ai granchi blu di diffondersi nei nuovi habitat marini.
Un analogo processo si verificò con i gatti in Australia, che giunsero sull’isola come parte dell’equipaggio delle navi a vela per tenere sotto controllo la popolazione di topi, ma poi finirono per invadere e causare gravi danni a numerose specie autoctone sul continente. Analogamente, le nutrie, originarie dell’America meridionale, giunsero in Italia per errore e causarono problemi simili. Allo stesso modo, il pesce gatto, la sandra, il siluro e il pesce persico sole furono introdotti nel nostro Paese per scopi di pesca sportiva e si diffusero così ampiamente da mettere a rischio altre specie autoctone, spingendole sull’orlo dell’estinzione.
Per affrontare l’invasione del granchio blu, il governo italiano ha stanziato 2,9 milioni di euro a favore delle cooperative della pesca per gestire la popolazione di questa specie, istituendo anche una stagione straordinaria di pesca al granchio. Questo sforzo ha già portato alla raccolta di 326 tonnellate di granchi solo nella regione del Veneto.